Al punto di partenza, mi ritrovo qui, facendo finta di nulla, non sapendo più cosa fare per uscire da questa gabbia. Ho lottato, ho lottato ed ho perso. Come sempre. Mi guardo attorno e cerco di capire in cosa posso aver sbagliato, cosa posso fare per riuscire a trovare soddisfazione. Cerco di convincere me stessa e gli altri che va tutto bene, ma non è così. Tutto quello per cui ho lavorato, tutto quello che ho sudato in questi anni, non vale nulla qui. Qui non sono nulla. Dipende dal posto? Non riesco a capire quale possa essere la mossa giusta per riuscire ad inserirmi. La Svizzera, un luogo che non comprendo, un popolo che non capisco. Provo ad analizzare le persone, da cosa derivano certi comportamenti, la diffidenza, il clientelismo, il razzismo, il patriarcato ed il maschilismo. Davvero sono questi i problemi, o sono forse io? Cambio mail, cambio portfolio, cambio modo di pormi. E sono sempre qui. Senza alcuna comprensione per il mio malessere, per la mia frustrazione. Forse la cosa che mi turba maggiormente è proprio questo: non essere capita. E ripiombare periodicamente nel baratro, ma portando una maschera con il sorriso. Per questo è che quello che sono: un pagliaccio triste che muore dentro ogni giorno. Un pezzo alla volta se ne va via con me, la stanchezza cronica che mi assale. Oggi pensavo a “Storia di una capinera”, mi sento come lei: chiusa in una gabbia. Allora il mio orgoglio mi sfinge a rialzarmi ancora una volta, a tentare e tentare ancora. A sorridere anche se vorresti spegnere la luce e basta. Lottare ancora, emergere dall’acqua per respirare, una boccata di ossigeno, ancora una prima di sprofondare ancora. Cerco aiuto, ma nessuno comprende, chi dovrebbe continua ad affondare il coltello. Stanca e triste. Quanto durerà? Quanto durerò?